Lo spettatore cinematografico e gli algoritmi di Netflix

A tre mesi dal lancio di Netflix, protagonista recente della competizione audiovisiva nel nostro paese, un bilancio provvisorio e qualche considerazione su cosa ha finora offerto al pubblico degli appassionati del cinema in sala ♦

Ma che bisogno c’è di guardare i film di Sergio Leone sullo schermo da cinque pollici di uno smartphone? La domanda sorge spontanea di fronte all’offerta di Netflix, colosso mondiale dello streaming via internet, leader sul mercato televisivo americano e da ottobre scorso ufficialmente anche in Italia, che promette di accedere a “serie tv e film quando vuoi, dove vuoi”, persino da console per videogiochi.
Vediamo dunque cosa offre allo spettatore cinematografico, questo protagonista recente della competizione audiovisiva, oltre al privilegio di portarsi appresso i film ovunque. Offre visioni integrali, libere da tagli sommari e da interruzioni pubblicitarie. Offre l’audio originale coi sottotitoli italiani. Garantisce, pare, anche la fluidità e la qualità dello streaming video in alta definizione, che può arrivare all’ultra HD. Su questo aspetto anzi i servizi di Netflix vantano una riconosciuta superiorità sui concorrenti grazie ad avanzati e peculiari algoritmi che regolano il cosiddetto “streaming adattativo”: significa che, commisurando l’uso della banda non solo al dispositivo usato ma pure al singolo contenuto, si realizza la qualità ottimale di visione col minimo dispendio di rete.
C’è poi il catalogo, in partenza piuttosto striminzito (ad oggi quasi 1.200 tra film, documentari e serie tv, in crescita rispetto ai poco più di 800 iniziali), di qualità però mediamente bassa e con molti film già visti in televisione: è possibile comunque trovare qualcosa da vedere, fare qualche ripasso o scoperta inattesa e questo per ora ripaga il costo contenuto dell’abbonamento. Povere però le funzioni di ricerca, che non discriminano tra film e serie televisive e non aiutano a selezionare i film per paese o per anno di produzione. E fortuna che in soccorso dello spettatore giunge Allflicks, anonimo sito web che si definisce “non affiliato a Netflix”, che aggiorna quotidianamente il catalogo e dà qualche maggiore possibilità di filtro e ricerca.
netflixL’interfaccia di navigazione, altro vanto del servizio, è pilotata anch’essa da un algoritmo che restituisce consigli su cosa vedere in base ai contenuti visitati in precedenza. Qui lo spettatore cinematografico si interroga e si innervosisce. Succede quando, dopo l’immersione nell’epopea di Master & Commander di Peter Weir, fioccano dozzine di proposte a ruota libera, da Tutto tutto niente niente a Borat, da The Tourist alle diverse serie targate Netflix tipo Marco Polo o Narcos, senza cenno all’unico altro film dello stesso regista presente in catalogo, The Truman Show. Lo spettatore ci riprova con François Ozon, ma dopo avere visto Angel – La vita il romanzo puntuali arrivano in coda i suggerimenti dell’algoritmo, da A casa con i suoi alla serie Marvel Jessica Jones al solito Narcos, che sorvolano su ben sei altre regie di Ozon presenti in catalogo.
Il fatto è che i tanto lodati algoritmi non supportano l’utente e la sua scelta autonoma. Non incrociano dati di produzione e informazioni obiettive sul film, come il regista, l’anno o il luogo di produzione, bensì dettagliatissime classificazioni delle trame: lo spiegava qualche tempo fa Edoardo Becattini in un articolo visto sul web, Netflix e l’algoritmo magico, che cita “un lavoro certosino di classificazione delle trame dei film che farebbe impallidire i formalisti russi e i più brillanti studiosi di narratologia” in cui “ogni minuzia viene classificata e articolata con un tasso di incisività da 1 a 5: dal lavoro dei personaggi protagonisti alla tipologia del finale, dall’epoca e dal luogo di ambientazione ai capi di abbigliamento indossati”. I risultati, ovviamente assurdi e paradossali, sostengono però l’obiettivo industriale del colosso statunitense, di intercettare scelte e gusti del pubblico dei blockbuster e plasmare modelli di consumo a base di serie televisive e produzioni originali targate Netflix.
E che stile di visione propone Netflix al suo pubblico? Lo si vede sul sito dove uno slider mostra, nell’ordine: famiglia al completo sbracata nel salotto di casa che dà un’occhiata alla tv; bimbi in pigiama con pelouche con occhi sul tablet; ragazza prona sul divano col suo notebook; jogger in sosta sulla panchina del parco con smartphone e cuffiette. Uno stile di visione dunque rilassato, distratto e inevitabilmente frammentario. E insieme, l’opposta pratica del binge watching, che consiste in abbuffate di episodi della serie televisiva preferita che Netflix furbescamente induce facendo partire in automatico l’episodio successivo al termine del precedente.
Su questa strada non desta sorpresa l’ultima frontiera dell’intrattenimento targato Netflix, svelata al mondo qualche mese fa da un articolo del Guardian: si chiama Netflix and Chill, espressione coniata per riferirsi al relax informale sul divano di casa in compagnia di film e serie tv, finita a designare un’ulteriore “evoluzione” del concetto, cioè il dedicarsi al sesso con il sottofondo di Netflix.
Non è certo un mistero che il cinema condivida con la letteratura l’essere per una maggioranza di individui più forma di intrattenimento che esperienza estetica. Ed è indubbio poi che il video on demand rappresenti il futuro dell’intrattenimento audiovisivo su scala domestica, mentre gli esperti di Wired già si affrettano a vaticinare che lo streaming farà chiudere il cinema.
Mean-StreetsChe tutto questo debba segnare anche la fine dell’esperienza cinematografica “immersiva” come finora l’abbiamo conosciuta è però meno ovvio e tutt’altro che scontato. Senza negare le mutazioni nello stile di visione indubbiamente indotte dalla tecnologia (ad esse il critico Gabriele Pedullà dedicava il saggio In piena luce pubblicato da Bompiani nel 2008), si può infatti ben sperare che accada anche il contrario: la tecnologia dà oggi la possibilità di replicare fuori dalla sala tradizionale un’esperienza di visione coinvolgente e paragonabile, se non al cinema di prima visione, almeno alle salette d’essai d’annata, realizzando in tal modo un sogno antico dei cinefili.
Presto o tardi, i servizi di streaming dovranno accorgersi anche di uno spettatore diverso da quello televisivo, non necessariamente occhialuto e sicuramente assorto: uno che sceglie cosa vedere, non parla sui titoli di testa e non si distrae appena partono i titoli di coda. Uno che quando va a cinema non sgranocchia popcorn e non scarta caramelle, spegne il cellulare e per due ore dimentica whatsapp. Questa nicchia di pubblico, reduce da decenni di film maltrattati dalle risoluzioni a linee della tv analogica, da tagli e interruzioni pubblicitarie, dall’impulso irrefrenabile allo zapping, si aspetta di godere finalmente del fascino delle ombre in movimento anche fuori dalle sale e ci tiene alle proprie abitudini di visione. È un buon cliente e va servito come si deve. Parola di abbonato Netflix.

1 commento

  1. Una risposta a chi dà per spacciato il cinema in sala:

    La generazione dei nativi (o pre-nativi) digitali ha ripreso a dire quello che non andava più affermando da un pezzo, ha smesso di accontentarsi di uno screener decente anche se non in alta definizione e di sottotitoli improvvisati ma pur sempre più digeribili del doppiaggio: «Ho visto che si trova anche online, ma Mad Max: Fury Road va assolutamente visto al cinema». Oggi il “va visto al cinema” è di moda al pari di Netflix: la Generazione Pulp Fiction ha sancito che bisogna far convivere la comodità (e l’economia) del bingewatching sul divano con i piani sequenza di Iñárritu solo ed esclusivamente su schermo ad hoc.

    Letto su:
    https://www.facebook.com/rivistastudio/posts/1054655514598862

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