Piccoli uomini crescono alla Ciambra di Gioia Tauro

Forse non entrerà nella cinquina per il miglior film straniero, ma l’annuncio che A Ciambra è il candidato dell’Italia nella corsa all’Oscar sta prolungando la vita in sala a questa opera seconda di Jonas Carpignano. Occasione da non perdere per scoprire il talento di un giovane cineasta italoamericano che ha fatto breccia due volte nel pubblico di Cannes ♦

 

Sostiene Davide Turrini dalle colonne del Fatto Quotidiano che, per A Ciambra, le chance di finire nella cinquina degli Oscar 2018 sono le stesse che ha la Sambenedettese di battere la Juve. Anche a dispetto del caloroso sostegno di Martin Scorsese, produttore esecutivo del film. Sarà pure vero, ma l’annuncio dello scorso 26 settembre che il film è il candidato dell’Italia nella corsa all’Oscar al miglior film straniero avrà avuto almeno l’effetto di prolungare un po’ la vita in sala a un’opera seconda di cui fino a qualche mese fa si dubitava persino che avrebbe trovato un distributore nel nostro paese.

È una fortuna, perché A Ciambra è arrivato nei cinema a fine agosto, nel pieno della kermesse cinematografica veneziana, con il rischio di passare pressoché inosservato. Invece questo bel film dà occasione di scoprire un giovane cineasta di sicuro talento. Jonas Carpignano, italoamericano poco più che trentenne, da qualche anno vive anche a Gioia Tauro dove ambienta i suoi film, costruendoli per via di immersione in mondi che conosce e frequenta abitualmente. Erano gli immigrati africani impiegati nei campi a Rosarno nel suo lungometraggio d’esordio, Mediterranea, notato nel 2015 a Cannes e Venezia ma rimasto senza distribuzione in Italia. Sono le comunità Rom stanziali alla periferia di Gioia Tauro in A Ciambra, opera seconda che adotta il medesimo approccio del precedente affidandosi ad attori non professionisti che recitano se stessi.

Sullo scorrere dei titoli di coda del film, curiosamente decine e decine di cognomi identici appaiono tra gli interpreti e tra i generici, tutti membri della la vasta famiglia Amato e autentici abitanti di un famigerato quartiere ghetto di Gioia Tauro noto come Ciambra. È però certamente sviante considerare A Ciambra quale documentario d’autore (c’è chi fa paragoni con Fuocoammare di Rosi, proposto anche quello dall’Italia nel 2017 per la corsa all’Oscar, senza fortuna). In questo film, a partire da una materia che potrebbe ben ispirare un documentario o un’inchiesta, Jonas Carpignano edifica invece un racconto che mescola le carte tra documentazione e finzione, e con stile avvincente e teso racconta la sua storia.

Al centro di questa storia c’è Pio Amato, rampollo di numerosa famiglia Rom. Nel tallonare l’adolescente in corsa a tappe forzate verso la vita adulta il film sfodera una forte carica di empatia. Condivide l’orizzonte coatto del ragazzo, da cui fatalmente è esclusa ogni forma di istruzione scolastica e in cui si cresce mimando i gesti “da grande”, che Pio agisce più con ingenuità che con sfrontatezza: bere, fumare, scorrazzare in motorino tra i rifiuti e in sostanza seguire le orme dei familiari, dediti a reati di sopravvivenza e avvezzi a periodiche soste in carcere. Nell’orizzonte di Pio entrano anche le comunità di immigrati africani della zona, quelli che gli zingari chiamano con sufficienza “marocchini”; e fra di loro Ayiva (Koudous Seihon), il giovane arrivato dal Burkina Faso nel quale Pio trova un riferimento in qualche misura paterno al di fuori della famiglia di origine.

A Ciambra, film in cui tutti i membri della comunità parlano un dialetto calabrese così stretto e duro da dover essere sottotitolato in italiano, si fa notare per il realismo estremo e per la rappresentazione lucida dei meccanismi, dei moventi e delle contraddizioni di questo microcosmo che si tende di solito a ignorare o biasimare a distanza. Colpisce, anche, per uno stile registico personale e consapevole, capace di trarre il meglio da attori non professionisti e soprattutto dai ragazzi della Ciambra, ritratti splendidamente come il giovane protagonista. Jonas Carpignano si affida a movimenti di macchina svelti, all’indagine dei volti e a una colonna sonora che dà ritmo e pathos a certi momenti (con musiche di Dan Romer, compositore californiano già premiato per Beasts of No Nation). Un’encomiabile economia di mezzi offre momenti di gran cinema, fino all’uso emozionante della sfocatura nello splendido finale.

Va detto pure che Jonas Carpignano, con sicura mano d’autore, al fondo del realismo più crudo trova la chiave giusta per trasfigurarlo a sorpresa nel suo contrario: l’immagine di un cavallo che di tanto in tanto attraversa il campo visivo del ragazzo, puro fantastico che si ricollega al prologo del film. Un’evocazione onirica eppure concreta della vita nomade, tradizione dei Rom travolta dalla modernità e destinata a scomparire. La tradizione nel film è impersonata dal nonno, impietrito nella sua maschera senile, che sembra parlare da un altro tempo: “Ricordati – dice a Pio nella scena presentata nella clip sottostante – Siamo noi contro il mondo”.

A Ciambra ha avuto la prima uscita pubblica al festival di Cannes, nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, con ottima accoglienza critica. Ha vinto il premio Label Europa Cinemas 2017 e poi trovato in Academy Two il distributore “coraggioso” che era mancato a Mediterranea.

Sarebbe però importante veder circolare anche il primo film, parte di un progetto unitario, con ambientazione contigua e con scambio di personaggi/attori tra i due film: Ayiva era protagonista di Mediterranea e torna in A Ciambra a fianco del protagonista, Pio Amato, che a sua volta compariva nel film precedente.

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Il regista Jonas Carpignano

In molte interviste al regista presenti in rete, questo ex studente di cinema a New York, con un nonno tra gli inventori del Carosello, parla del suo cinema con competenza e con visione chiara. Annuncia di avere già un terzo film in preparazione, a conclusione del trittico. Lunga capigliatura rasta, grandi occhi chiari, sorriso franco, Jonas Carpignano ha commosso il pubblico di Cannes portando gli zingari sul palco. Non ama esprimere giudizi sui suoi personaggi, che sono anche suoi amici. Racconta volentieri come l’ispirazione per il film A Ciambra sia arrivata nel 2011, quando durante le riprese di un cortometraggio gli capitò di subire il furto della Fiat Panda con tutte le apparecchiature cinematografiche dentro. “A Gioia Tauro quando una macchina sparisce, la prima cosa da fare è chiedere agli zingari”, spiega. Ed è così che ha conosciuto la famiglia Amato. “È stata la prima volta che ho visto la Ciambra. Mi sono innamorato immediatamente dell’energia di quel posto.”