Affilato come un pamphlet, intenso come lo sguardo di un uomo

Bisognerà tenere d’occhio la carriera di Stéphane Brizé, regista di La loi du marché, in competizione allo scorso Festival di Cannes dove si è aggiudicato il premio per la Migliore interpretazione maschile per Vincent Lindon ♦

Bisognerà tenere d’occhio le prossime tappe della carriera di Stéphane Brizé, regista di La loi du marché, in competizione allo scorso Festival di Cannes dove si è aggiudicato il premio per la Migliore interpretazione maschile. Speriamo almeno di poterlo fare, visto che non hanno avuto circolazione in Italia i precedenti Quelques Heures de Printemps (2012) e Mademoiselle Chambon (2009) nei quali Brizé si era peraltro affidato all’interpretazione del medesimo attore protagonista.
L’attore di cui parliamo è Vincent Lindon. Qualcuno ne ricorderà la fama di tombeur des femmes e di ex fidanzato della principessa Carolina di Monaco. Beh, dimenticate quella referenza. Vincent  Lindon qui non nasconde i segni del passaggio del tempo, ingigantiti dai primissimi piani del suo volto; si muove un po’ impacciato e mostra un filo di pancetta. È un uomo dal fascino dimesso e dallo sguardo provato. È un attore enorme, e La legge del mercato è un film da non perdere in cui gli attori danno corpo e realtà a una scrittura cinematografica asciutta e affilata come un pamplet.

La storia è quella di Thierry, disoccupato ultracinquantenne che si barcamena per trovare un nuovo lavoro dopo che un licenziamento collettivo per tagliare i costi d’impresa lo ha lasciato a spasso. Thierry è un uomo di saldi principi e di buona volontà, con un figlio disabile che lo attende a casa. Ha bisogno di lavorare e vuole rimettersi in gioco, perciò segue con scrupolo le regole del replacement – troppo spesso fini a se stesse – compilando curriculum, seguendo corsi e sottoponendosi a colloqui di lavoro. Vive in equilibrio precario sull’orlo del baratro economico ed esistenziale, fra trappole e insidie che schiva con dignità e fermezza, senza lasciarsi andare, ma anche abbassando tante volte la testa. Quando finalmente si ricolloca dovrà presto rendersi conto di come sia breve la distanza tra l’essere vittima della competizione economica e lo stare dalla parte degli aguzzini.
Mors tua vita mea: eccola qua, è la legge del mercato che dà titolo a questo film folgorante e commovente. Gli interlocutori di Thierry sono lavoratori anch’essi che, per sbarcare a loro volta il lunario, o per avanzare nella carriera, lucrano sul prossimo bisognoso per il semplice motivo che è per questo che sono stati assunti. È così che funziona nella giungla delle società di servizi che il film rappresenta, in cui moltissimi potrebbero riconoscersi e riconoscere episodi grandi e piccoli della propria esistenza.

Ognuna delle tappe di questo percorso, nella sua quotidianità banale, nella essenzialità della messa in scena, nella concretezza e verità dei dialoghi ha un contenuto di violenza e di sopraffazione a cui il volto mansueto di Vincent Lindon dona un pathos e un’intensità a tratti insostenibile: così il colloquio di lavoro via skype in cui il protagonista è umiliato da un computer; così l’insistenza della funzionaria di banca perché il cliente in difficoltà venda la casa in cui vive, o si indebiti più del necessario; così l’occhio delle telecamere del supermercato inesorabili nello spiare poveri cristi che rubano ma anche le cassiere per poterle licenziare.
Si può vedere un film come questo in modi diversi. Con indignazione – perché qui il privato è politico ed è condizione globale del nostro presente. Con compassione, intesa proprio nel senso etimologico di accompagnare, con la propria, la sofferenza e le vicissitudini del protagonista. Oppure sfuggendone il contenuto disturbante, che come si è detto riguarda tutti noi e il mondo in cui viviamo. Forse è per questo che nella sala cinematografica romana, non particolarmente affollata, nella quale abbiamo visto il film è successo che durante la proiezione si sono alzate nel buio prima una, poi due, poi tre coppie di spettatori e silenziosamente hanno abbandonato la sala, cercando magari altrove lo svago e l’intrattenimento che in questo film non hanno trovato.